BARĀQISH

Nome Arabo

براقش‎

Nome antico

Yathill

Regione

Maʾrib Governorate

Coordinate

16.018333, 44.804444

Nel 1989, alla ripresa di una nuova convenzione di cooperazione con il Ministero degli Esteri, risultando impraticabile per problemi tribali una continuazione degli scavi a Yalā/al-Durayb, Alessandro de Maigret accettò con entusiasmo la proposta del GOAM (allora presieduto dal prof. Muhammad Bāfaqīh) di intraprendere uno scavo nella stupenda città minea di Yathill/Barāqish, uno dei gioielli più rappresentativi del patrimonio archeologico yemenita. L’antica Yathill, conosciuta oggi con il nome arabo di Barāqish (Fig. 1) è situata nella valle del Jawf, circa 15 km a sud dell’odierna cittadina di Hazm. Dopo la capitale Qarnaw/Ma‘īn, Yathill fu la città più importante del Regno dei Minei (Fig. 2 ). Il suo nome è menzionato da Strabone tra le città che il generale Elio Gallo conquistò nella sua spedizione contro l’Arabia Felice del 24 a.C. Ma a quell’epoca Yathill era già in declino. Passata, sembra, sotto il controllo degli Arabi, era giunta al termine di un periodo di opulenza e di splendore iniziato intorno al VI secolo a.C. (Fig. 3).

Fig. 1 – Veduta della città minea di Yathill (odierna Barāqish) da nord-ovest.
Fig. 2 – Vista di Barāqish da ovest.
Fig. 3 – Vista delle strutture islamiche all’interno di Barāqish.
Fig. 4 – Barāqish. Il tempio di Nakraḥ
dopo i restauri del 2003-2004.
Fig. 5 – Barāqish. Ricostruzione interna
del tempio di Nakraḥ.

La Missione, con due campagne di scavo (1989-1990, 1992), mise in luce nella parte meridionale della città un importante tempio ipostilo dedicato, come rivelarono le iscrizioni, al dio patrono Nakraḥ (Fig. 4). Si tratta di uno straordinario edificio ipostilo a cinque navate interne (Fig. 5), conservato in più parti sino alla copertura, preceduto da una scala monumentale e da un prostilo d’entrata con quattro pilastri monolitici alti 5 metri. Tre sono le fasi costruttive individuate. La più antica dovrebbe risalire all’inizio della fioritura del Regno mineo e cioè al VII-VI secolo a.C. La fase seguente (in cui si aggiunsero al tempio elementi – come la scala monumentale dell’avancorpo – che richiamano idee ed influenze dal mondo classico), dovrebbe porsi intorno al V-IV secolo a.C. La fase finale potrebbe essere invece datata, dallo stile ellenizzante di alcune sculture rinvenute in una delle stanze annesse al tempio e delle iscrizioni, al III sec. a.C./ I sec. d.C.

Il tempio di Nakraḥ risultava gravemente danneggiato da un terremoto avvenuto in epoca medievale e, dato il suo eccezionale valore monumentale, ci sentimmo moralmente impegnati a trovare i fondi per un radicale intervento di restauro. Dieci anni dopo, grazie ad un sostanzioso finanziamento yemenita (su fondi italiani di contropartita), la Missione italiana poté affrontare la non facile impresa che, con una lunga campagna di restauro (2003-2004), è stata portata a termine con successo (Fig. 6). Il tempio era finalmente al sicuro e poteva essere ammirato dai visitatori in tutta la sua originaria bellezza.

La Missione Archeologica Italiana in Yemen nel corso di tre campagne di scavi a Barāqish (2004, 2005, 2006) ha riportato in luce, in questa grande città minea, un secondo bellissimo tempio ipostilo (“Tempio B”), che le iscrizioni ci dicono fosse dedicato ad ʿAthtar dhu-Qabḍ (Fig. 7), la divinità maggiore dei Minei. Questo nuovo santuario si trova subito a nord del Tempio di Nakraḥ (“Tempio A”). I due templi (Fig. 8), insieme ad un terzo (“Tempio C”), i cui resti si trovano non lontano, dovevano costituire in questa parte meridionale della città una sorta di area sacra, la cui estensione dovrà comunque chiarirsi con la continuazione degli scavi.

La sua pianta, quasi quadrata (lato di 13 m) è più grande di quella rettangolare del tempio di Nakraḥ (m 12×11). All’interno la sala è divisa ancora in cinque navate da quattro file di tre pilastri, che però hanno altezze maggiori (m 5,50, anziché 4 m). La navata centrale è leggermente ribassata rispetto a quelle laterali, nelle quali si dispongono trasversalmente quattro grandi tavole offertorie monolitiche circondate da banchette. Le tavole sono decorate sulla fronte da file di stambecchi recumbenti e da iscrizioni. Le banchette costituivano, con le tavole, quattro “cenacoli” nei quali si celebravano particolari rituali con offerte di prodotti della terra, non dissimili da quelli che avvenivano nel tempio di Nakraḥ (dove però i cenacoli erano tre). I muri che delimitano la sala sono costruiti con blocchi perfettamente squadrati e connessi, recanti ciascuno la tipica decorazione picchiettata incorniciata a liscio. La sala termina, in fondo, con una cella centrale, in cui sono i resti di un podio per sorreggere i simboli divini, fiancheggiata da due larghi ambienti (verosimilmente sacrestie), nei quali si entrava da porte incorniciate da listelli modanati. Quindi abbiamo qui tre grandi ambienti di fondo, invece delle cinque celle con cui termina il tempio di Nakraḥ.

Fig. 6 – Barāqish. Lavori di restauro delle celle
del tempio di Nakraḥ.
Fig. 7 – Barāqish. Il tempio dedicato
al dio ʿAthtar dhu-Qabḍ.
Fig. 8 – I Templi di Nakraḥ e di ʿAthtar dhu-Qabḍ
scavati dalla Missione Italiana a Barāqish.
Fig. 9 – Stele funeraria dagli scavi
della necropoli minea di Barāqish.

L’entrata alla sala ipostila avveniva attraverso un portale fiancheggiato da due imponenti stipiti, profilati all’interno per la porta in legno (rinvenuta in parte sul pavimento), e in alto per l’architravatura, della quale resta solo una spessa lastra squadrata montata in verticale. Dalla soglia, costituita da un gigantesco blocco in calcare, che sostiene anche gli stipiti, si scende lungo una scala di cinque gradini fino a raggiungere il piano interno della sala ipostila. Il fatto che questo piano sia circa un metro più in basso di quello di accesso è singolare nell’architettura cultuale dello Yemen pre-islamico e la spiegazione è che questo tempio era articolato su due piani. Oltre che nel ribassamento del pavimento della sala, prova ne è una seconda scala che, a destra della prima, saliva al piano superiore. Di questo secondo livello non resta nulla e, quindi, non possiamo sapere quanto fosse complessivamente alto l’edificio. Un tempio a due piani, assai simile a questo, ma più grande, è stato rinvenuto a Yeha in Etiopia, e riguarda il periodo in cui i Sudarabici stabilirono là un emporio commerciale (VIII-V sec. a.C.).

L’apparato di entrata al tempio consiste in un’ampia gradinata (larga m 5,50) che conduce ad una terrazza lastricata (larga m 12,80), sulla quale poggiano sei grandi plinti monolitici che, sostenendo sei pilastri alti m 6,30, formano il propileo del tempio. Due aree soprelevate e quadrate, di 3 m di lato, fiancheggiano l’ingresso.

Tutto questo avancorpo d’entrata – compresa la scala – è contenuto da un muro in bei blocchi squadrati e decorati che si raccorda ai muri laterali del tempio. Alcune iscrizioni complete, anche molto estese, sono state rinvenute incise nelle pareti interne della sala ipostila. Queste, insieme a numerose altre trovate nei blocchi di crollo, offriranno certo un notevole contributo per ricostruire la storia dei Minei. A parte le epigrafi e la numerosa ceramica, dallo scavo non provengono oggetti di particolare valore. Ciò va imputato, quasi certamente, al drastico saccheggio che il tempio dovette subire al momento della sua distruzione nel I sec. d.C.

I sondaggi stratigrafici, condotti durante le campagne archeologiche del 2005 e 2006, all’interno della città e al suo esterno a ridosso della cinta muraria, hanno rivelato una ininterrotta occupazione dell’insediamento dal XII al VII sec. a.C.

Negli stessi anni, furono messe in luce alcune tombe a fossa ca. 200 m a ovest di Barāqish. È la prima necropoli minea che sia mai stata scavata. Sono state trovate in situ numerose stele antropomorfe iscritte (Fig. 9), che ci illuminano sui costumi funerari e l’onomastica minea. La presenza di nomi di origine tanto sudarabica quanto nordarabica indicano il movimento di genti lungo la Via Carovaniera e la presenza di Arabi del nord in questa regione tra il III sec. a.C. e il I/II sec. d.C.